mercoledì 1 settembre 2010

L'arcobaleno


Ricomincio a scrivere dopo una pausa estiva, una sorta di vacanza che lo specchio si è preso. In verità, lo specchio ha continuato a mostrare immagini ed a stimolarmi, proponendomi argomenti su cui scrivere. In qualche modo, quindi, la pausa me la son presa io. Forse, perchè gli argomenti che lo specchio mi mostrava mi sono apparsi poco interessanti, poco "attraenti" o meglio deboli quanto a potere di "distrarre" un qualsiasi lettore dallo svago e dai divertimenti che l'estate propone.
C'è però un immagine (e quindi un argomento) che lo specchio periodicamente mi mostra. E' però un'immagine ed un tema, che non ho avuto ancora mai la forza di proporre e pubblicare in rete. Una questione di riservatezza, volontà di conservare in sè qualcosa di profondamente intimo.
Mi riferisco al ricordo di mio padre e degli ultimi momenti della sua vita, ai momenti della scoperta della malattia che me l'ha portato via.
Due sono state i fatti che mi hanno, invece, poi convinto a condividere con altri questi sentimenti:
- le tre settimane passate a stretto e continuo contatto con mia figlia, che mi hanno permesso di osservarla a fondo e riflettere;
- l'aver ascoltato una canzone che mi ha fatto pensare intensamente a mio padre, alleviando il dolore provato in quegli ultimi tragici periodi che l'ho avuto ancora accanto.
In altri termini, potrei dire se due sono i fatti, unica è la ragione che mi spinge a scrivere il post: l'amore verso mio padre e verso mia figlia e quindi il ricordo di una persona fantastica e la gioia per la nuova vita che si è affiancata e fusa con la mia. Insomma, entrambi queste cose vorrei condividere con voi.
Non è facile spiegare cosa si prova quando si perde un genitore, a chi non ha vissuto quest'esperienza tragica; non è facile spiegare, a chi ancora figli non ha, cosa cambia e come diventa la propria vita quando nasce e accanto a noi c'è un figlio.
Non voglio apparire presuntuoso, ma credo che certe cose si possono intuire, ma non se ne colgono tutti gli aspetti e per chi non le ha vissute, restano sempre sfumati i contorni di certe vicende umane.
Mio padre è morto di cancro. Cancro al polmone. Da poco ero tornato a casa, terminato il servizio militare. Mio padre era stato ricoverato per alcuni giorni in ospedale per accertamenti, avendo lamentato alcuni dolori al costato. Ci avevano detto che i risultati ci sarebbero stati da lì a pochi giorni e, nel frattempo, mio padre era stato dimesso. Ricordo il giorno in cui ci avrebbero comunicato i referti, decisi di andare in ospedale prima di tutti, troppo impaziente di conoscere la diagnosi. Uscii dal lavoro, presi l'autobus, arrivai in ospedale e parlai con il medico, che mi disse di cosa si trattava: malattia incurabile. Non riesco a raccontarvi quegli istanti, ma posso solo dirvi che decisi di tornare a casa a piedi, qualche buon chilometro, ma lo feci a passo di marcia. Dovevo far uscire qualcosa che sentivo in me, per evitare l'esplosione od altri peggiori modi di espellere la tempesta che si era scatenata in me. La cosa che ricordo bene è che, arrivato vicino a casa, incrociai l'auto di mio padre, che si fermò. Guidava mio fratello, mio padre era accanto e dietro c'era mia madre. Mi avvicinai al finestrino e, non so se riuscendo bene a fingere, chiesi, tranquillamente, dove stessero andando. Fu mio padre a rispondermi con voce fioca e il viso tirato, da cui traspariva pienamente la preoccupazione. Mi disse: "mi hanno telefonato dall'ospedale. Devo ricoverarmi. Mi sa che le cose non vanno bene". Provai e provo ancora adesso uno strazio inenarrabile, ma trattenendomi gli dissi "ma dai, se ti ricoverano è perchè ti devono curare. Ora torno a casa e fra poco vengo giù in ospedale". Le lacrime scesero appena l'auto riparti, e non riusciì a frenare un fiume che non poteva trovare argine.
Non vi racconterò l'anno e mezzo che la mia famiglia ha vissuto dopo quel momento, ma voglio scrivere dell'ultima volta che ho visto mio padre ancora vivo.
Andai a trovarlo in ospedale. Per tutta la durata della malattia, mio padre è stato a casa. Uniche parentesi i day hospital per le terapie. Fu ricoverato solo per gli ultimi giorni, per poterlo meglio assistere non avendo mezzi idonei a casa. L'ultimo giorno sono stato con lui nel pomeriggio. Abbiamo parlato di molte cose: del lavoro, dell'Hobby che lui mi ha trasmesso (la pesca), della vita matrimoniale iniziata da poco, della nuova auto comprata (la seconda della mia vita, la prima mi aveva aiutato ad acquistarla lui). Poi si è fatta sera e gli ho detto che dovevo andare. Le sue parole sono state "Vai tranquillo io sto bene". Gli ho risposto "Ci vediamo domani" e lui mi ha sorriso.
E' questo il motivo per cui non ho voluto poi vederlo morto, nella bara. La mattina dopo, mio fratello mi ha chiamato e mi ha detto che aveva riportato a casa papà, perchè erano gli ultimi istanti e mio padre gli aveva detto che non voleva restare in ospedale. Mi ha poi detto che appena arrivato a casa, era voluto andare a letto e lì aveva perso conoscenza.
Quando io sono arrivato, era morto. Quando mi hanno chiesto se volevo vederlo ho detto "no". Non per vigliaccheria, ma perchè ho voluto conservare l'ultima immagine di mio padre, che mi diceva "Vai tranquillo io sto bene" ed il suo sorriso. Non mi sono mai pentito di questa scelta. Quando ripenso a quel tempo, vedo mio padre vivo, che mi dice di andare verso la vita,
Se l'avessi visto nella bara, sono sicuro che avrei conservato quell'ultima immagine. Invece vedo mio padre vivo che mi sorride ed io gli rispondo "a domani" e mi resta la speranza che , un tempo, ci sarà quel domani in cui potrò rivederlo vivo, senza mai averlo visto morto.
Negli anni ne ho sentito la mancanza. In momenti futili, come quando vado a pesca e mi rammarico di quante volte avremmo potuto andarci insieme; in momenti più importanti, quando di fronte a scelte che la vita ti pone, avrei avuto la gioia ed il bisogno di chiedergli consigli, io che quand'era vivo mi son sempre beato del sentirmi indipendente e responsabile personalmente delle scelte fatte, sentendomi uomo. Ed invece, in questi momenti, d'improvviso ci si sente soli, nel senso di scoprire di essere veramente gli unici e soli responsabili del proprio destino, di ciò che si sceglie di fare.
C'è poi un sogno ricorrente che faccio dopo quei giorni tragici. So che mio padre è malato, i medici ce l'hanno detto, ma hanno detto che non succederà nulla, tutti noi conviveremo con la malattia, mio padre vivrà. Un gioia immensa, tanto quanto la delusione che provo nello svegliarmi.
Non so se sono stato capace di esprimere i sentimenti, di raccontare i ricordi. Non so se sono riuscito a dipanare una matassa aggrovigliata di sensazioni provate in qui giorni e che provo oggi nel ricordarli.
Quest'estate ho sentito una canzone ed è stato come trovare le giuste parole, la sintesi del dialogo inconscio che ho con mio padre, quando lo penso, di ciò che lui mi dice. La canzone è "L'arcobaleno" di Celentano, testo di Mogol.
Vi fornisco una parte del testo e poi se volete ascoltarla anche il video:

Io son partito poi così d'improvviso
che non ho avuto il tempo di salutare
istante breve ma ancora più breve
se c'è una luce che trafigge il tuo cuore
L'arcobaleno è il mio messaggio d'amore
può darsi un giorno ti riesca a toccare
con i colori si può cancellare
il più avvilente e desolante squallore

Son diventato se il tramonto di sera
e parlo come le foglie d'aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso

Io quante cose non avevo capito
che sono chiare come stelle cadenti
e devo dirti che è un piacere infinito
portare queste mie valige pesanti

Mi manchi tanto amico caro davvero
e tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre e solo musica vera
e cerca sempre se puoi di capire.
Ogni volta che ho visto un arcobaleno, dopo quei giorni ho pensato a mio padre, al poco tempo che si ha per avere accanto le persone importanti, alla fugacità di quei momenti, così come fugace e bello è l'arcobaleno



Arriviamo al capitolo "mia figlia". L'ho vista crescere in questi anni. La questione non sta nell'aver compensato un dolore con una gioia, ma nel fatto che con lei ho visto rivivere mio padre.
Prima di tutto perchè mi sono scoperto mentre mi stupivo nel rivedere espressioni, posture del corpo tipiche di mio padre.
Poi , soprattutto, perchè ho vissuto e vivo quelle sensazioni che sicuramente mio padre ha provato nel vedere vivere e crescere i suoi figli.
Vivere un figlio è vedersi allo specchio, riassaporare la vita, nei momenti, ormai passati ed altrimenti persi, della propria infanzia. E' una sorta di rinascita, un flash back di momenti vissuti, che si rivivono, però in maniera consapevole. I bambini sono tiranni, chiedono se non tutto, tanto per sè. Se non ti stravolgono, certamente ti cambiano la vita, il proprio "io". A volte si pensa di voler gettare la spugna, di non farcela, ma basta un attimo, un gesto, una loro parola e si ha voglia di viverli in eterno.
Il rammarico è sapere quanto avrebbe goduto mio padre nel poterla vedere, nel viverla. ogni giorno. Lui che ha avuto figli maschi, si sarebbe follemente innamorato di questa donna.
Per me è difficile spiegare cos'è una figlia femmina, per un papà.
Io e mia moglie non abbiamo voluto conoscere il sesso prima che nascesse. A chi mi chiedeva cosa volevo, rispondevo, sinceramente, che non m interessava. Devo però confessare che anni prima, quando ancora non avevamo deciso di avere un figlio/a e neppure ci pensavamo, sognai due volte un neonato, seduto a terra che allungava verso me le braccia per farsi prendere. In entrambi i casi, il neonato era una bambina. Una figlia per un papà è già una donna; lo senti, così si comporta verso te, ha già tutto il potenziale di una donna e inconsapevolmente lo usa e lo esercita. Vedi una donna che cresce, cerchi di immaginarla, adolescente, giovane e in qualche momento, percepisci l'immagine di quello che sarà.
Ci sono momenti in cui senti che tua figlia ti osserva e si fa un'idea, ritaglia l'immagine dell'uomo che ricercherà per la vita, mentre gioca a fare la principessa e ti chiede di fare il principe.
C'è una domanda, che mia figlia mi ha posto più volte, sin da quando aveva circa due anni. Non è una domanda, ma la ricerca della conferma di una speranza e la voglia di veder scomparire una paura: "papà ma è vero che tu non ti invecchi ?". Sin dalla prima volta, in cui fui colto alla sprovvista, sorpreso dalla domanda, ho sempre risposto che io non mi invecchierò. Di recente, un giorno, mi ha detto che gli avevo raccontato una bugia, perchè aveva visto che sua nonna (mia madre) e suo nonno (mio padre che non ha conosciuto) si sono invecchiati e quindi anch'io farò lo stesso. Gli ho risposto che questa era la buglia, perchè i suoi nonni per me non sono mai invecchiati sono rimasti sempre quella mamma e quel papà di un bambino di nome Giuliano.
Anche per lei io sarò sempre il papà che sono ora, quell'immagine di uomo che è in lei, anche quando quell'uomo sarà sostituito da uno in carne ed ossa, marito o compagnia per la vita che sia, quello che lei sceglierà. Non ricordo precisamente le parole con cui gli ho spiegato l'idea, ma so che ha capito, perchè mi ha sorriso ed il suo viso è tornato sereno.
Anch'io lo sono, anche se il pensiero di questa donna che vedo crescere, mi ha fatto venire in mente un'altra canzone di Celentano "Il tempo se ne va"(per chi non la ricorda fornisco il video).



Dico grazie a chi è arrivato a leggere sino a questo punto e così ha voluto condividere con me questi sentimenti. Forse qualcuno penserà che sbandierare così in pubblico pensieri tanto privati ed intimi sia sbagliato. Anch'io ho pensato questo e per pudore non avevo mai scritto questo post. Ma ho spiegato i fatti ed i motivi che oggi mi hanno fatto credere il contrario e penso così di aver anche onorato la memoria di mio padre, di quell'uomo a cui devo gran parte di quello che oggi io sono. Chi mi apprezza, in questo senso apprezzerà anche colui che non ha conosciuto: mio padre.

2 commenti:

  1. Non è facile tradurre in parole sentimenti tanto intimi e profondi.
    Significa mettersi un po' a nudo, togliere ogni tipo di maschera.
    Ma significa anche rafforzarsi attraverso la trasparenza e la verità dei propri sentimenti ed avere fiducia negli amici e in genere nel prossimo a cui si è offerta una finestra verso il prioprio io.
    La malattia e la perdita di persone care sono momenti terribili ma anche enormi esperienze di vita e di crescita.
    Grazie per averle condivise.

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  2. Hai condiviso con noi alcuni momenti della tua vita, così intimi, così emozionanti che non posso che dirti 'grazie'...chi non condivide la propria vita non sa cosa si perde, arricchisce sè stesso e dona un po' di sè all'altro, ne sono sempre stata convinta e non credo che cambierò idea.
    Un abbraccio
    Paola
    p.s. L'arcobaleno è tra le mie canzoni preferite. La prima volta che l'ho ascoltata ho pianto e mi sembra, dopo aver ascoltato te, di afferrare il 'perchè'.

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