giovedì 11 novembre 2010

Dialoghi di amore e di morte


Un post diverso dagli altri, un racconto, forse una riflessione, che di sicuro so a chi dedicare: alla vita, a chi mi ha fatto e mi fa provare amore, perchè in questo modo non mi fa temere la morte:
L'uomo era seduto di fronte allo specchio d'acqua, piatta, vitrea, che rifletteva la porpora e l'arancio dell'aurora, ma non quell'altra presenza, che l'uomo, però, distintamente avvertiva, frutto di anni di esperta compagnia.
- "Anche oggi vieni a trovarmi e più presto del solito, di prima mattina, non al calare della notte come spesso usi. Penserei che stavolta non hai voluto lasciarmi l'illusione di poterti non pensare, di non incontrarti anche solo per un giorno, credere che non esisti." disse l'uomo.
- "Come fai a sapermi qui alle tue spalle, quando i tuoi occhi attenti osservano l'acqua, priva del mio riflesso?"
- "Dimentichi che l'uomo vive e per questo, prima di vederti, ti sente, in ogni attimo della sua esistenza. Non sono i miei due occhi, ma il soffio di vita che mi anima ad avvertirmi della tua presenza. Neppure dopo così tanti anni l'hai imparato?" replicò l'uomo.
- "Eppure oggi dovresti vedermi, perchè sono venuto a prenderti. Voltati pure" fu l'invito che gli rivolse la morte.
- Senza scomporsi, nulla temendo, l'uomo prima inspirò, per poi soffiare fuori l'aria di colpo, emettendo un lungo sbuffo: "Non ho bisogno di voltarmi per vederti, ti conosco già da tanto e troppo tempo".
- "E quando è stata la prima volta che m'hai conosciuto?" domandò la morte, con tono canzonatorio, quasi divertita, tradendo però la vera natura della domanda, l'innata curiosità per la vita.
- "Sono anni ed anni che ti sento e che mi parli ed ancora oggi m'appari affamata di vita" rispose l'uomo sorridendo, senza voltarsi "non puoi fare a meno di cercar di capire quello che non ti appartiene: la vita, l'uomo, il sentimento che lo anima e l'idea ed il pensiero che ha di te. Se fosse vero come dici, che dopo così tanto tempo, oggi, sei venuta a prendermi, devo soddisfare ora questa tua curiosità, non avendone, poi, più il tempo. Io ti conosco da quando ero bambino: nel volto delle lucertole che per gioco cacciavo, eri quell'innocente malvagità di un fanciullo, che si crede padrone della vita mentre dona la morte; come te illuso, d'essere il signore della vita, ma ben sai che nulla puoi su di essa, sai che non la governi ed è lei, invece la tua padrona, senza di lei tu non esisti"
- "Cosa credi di fare, mi sbeffeggi?" sibilò la morte "non è in questo modo che scrollerai di dosso il terrore, la paura di dover abbandonare tutto, di dover venire via con me" .
- "Io non ho alcun terrore, perchè da bambino ti conobbi, anche, nel pallido volto di mia nonna incorniciato da fiori e lumi di candele. Ti conobbi e compresi che eri stata lì, un solo attimo e poi non c'eri più, già nell'attimo in cui lasciasti immobile il corpo di quella anziana donna, che, anni prima, mi sorrideva e mi portava al collo, quando ancora avevo quattro zampe. Non esistevi già più dopo quell'istante, mentre per poco esisteva il corpo freddo di mia nonna, ma per sempre sarebbe esistito il suo ricordo".
- "Cos'è, mi vuoi raccontare l'antica e banale storia della vita eterna, dell'immortalità dell'anima? non ti illudere, vecchio, dopo che ti avrò portato via sarà tutto finito" sghignazzò la morte.
- "Non m'illudo" rispose il vecchio "ma so che tu sei come la nascita: un attimo in cui si apre quel sipario che tu vieni a chiudere, ma c'è sempre qualcuno che ricorderà lo spettacolo visto sul palco. Quando sarò venuto con te, so che per me sarà finita, in me non ci sarà la vita, ma io sarò nella vita, parte di me sempre esisterà nella vita: resterò in un pensiero, nell'attimo di un ricordo, in ciascuno che mi avrà conosciuto e che disperso nel mare della vita, di me avvertirà, di tanto un tanto, una eco lontano".
- "Ma cosa credi di aver lasciato nella vita, negli altri, da sperare che ti si ricordi ? Quali traguardi pensi di aver raggiunto, puoi dirti soddisfatto del tuo viaggio ?" Rispose sarcastica la morte "vivi solo del passato, di ricordi e questo è il segno che è giunta l'ora in cui tu venga con me" disse severa la morte.
- Questo è il tuo cruccio: non avere passato, nè ricordi, neppure dopo tanti anni di mestiere; hai chiesto a molti uomini di venire con te, di seguirti, ma li hai visti tutti uguali e non ne hai mai capito la differenza. Ai tuoi occhi l'onda del mare che abbandona la spiaggia è la stessa che, dopo un attimo, la riconquista. E' l'acqua ad essere la stessa, non l'onda, e la spiaggia lo sa perchè di ognuna ne conserva l'umore e la nostalgia. Tu costringi ognuno a seguirti ma non riesci ad impadronirti del suo umore, dell'essenza di ogni esistenza".
- la morte rimase in silenzio, pensierosa "E quale è la tua essenza?"
- "Ho viaggiato, ho scelto una via davanti a due o più diversi sentieri e con il tempo ho imparato che non si può sapere di aver scelto quello giusto o quello sbagliato, perchè in questo viaggio si sceglie solo una volta di fronte ad ogni bivio ed ognuno è diverso dal precedente. So, però, che ho accumulato più rimpianti che rimorsi e questo è il mio cruccio" disse l'uomo con un filo di voce "avrei dovuto arrivare a questo giorno con qualche rimorso in più e qualche rimpianto in meno; sarebbe stato il segno di qualche scelta fatta e che ho invece barattato con l'attesa. Ho così imparato a diffidare da chi dice di amare una vita tranquilla, perchè sono coloro che hanno paura di osare e vivendo nell'attesa chiedono che la vita scelga per loro. Non ci sono successi senza qualche cicatrice per le sconfitte subite".
- La morte l'osservò, sembrava non aver compreso, o forse rifletteva; un lampo attraversò la sua ombra, pareva che la morte si fosse accesa e sembrò che pure l'acqua, per un attimo, la rispecchiasse "cosa vuoi dire vecchio ? spiegati."
- "al tempo dicevano che ero un ragazzo, ma oggi a questa età, dopo aver vissuto così tanti giorni, so che allora ero ancora un bambino. Così pure lei, bella, fresca, chiara aurora di un giorno di speranza piena. Me ne innamorai". Non ero ricco, non ero bello, ma seppure ancora bambina, lei possedeva quell'istinto di cui solo le donne sono dotate e qualcosa vide in me, che neppure io conoscevo. Forse sentiva la tenace resistenza che ponevo alla forza dell'attrazione che provavo per lei; agli altri appariva come estrema timidezza, ma a lei giungeva come un silenzioso corteggiamento, fatto di parole misurate, incorniciate da sorrisi. Modi così diversi dalle spavalderie degli altri ragazzi. Ma era soprattutto la capacità di conversare che la portava a cercarmi sempre più spesso con il desiderio delle intere giornate a raccontarci, a parlare dei luoghi in cui avevamo vissuto i pochi anni precedenti a quelli in cui ci eravamo conosciuti, Racconti di alberi, corse sui prati, spensierate serate sotto cieli sereni di soli e di stelle e notti trascorse sotto calme e serene coperte di sonni trapuntati di sogni. Tra tutte, ricordo una giornata, apparentemente uguale a quelle che ormai tutti gli altri mi invidiavano, trascorsa come al solito con lei sola, in compagnia della nostra campagna. Eravamo distesi con il viso rivolto al cielo cobalto, immersi tra le spighe del grano maturo, uno accanto all'altro, mano nella mano. Mi raccontò ancora di lei e mi disse cosa vedeva in me, e forse passarono ore ,o forse anni, ma tutto sembrava durare un attimo, mentre ascoltavo la sua voce, l'odore del suo respiro si mescolava a quello del grano. Non l'avevo mai baciata e ne avevo una grande voglia, ma più grande, anche quel giorno, era la paura, il timore di rovinare tutto, distruggere quegli eterni attimi e restare solo con la cicatrice della sconfitta. Così anche quel giorno finì e non la baciai, nè allora, nè mai più. Un mese dopo se ne andò, assieme alla famiglia, in un'altra città. Sentivo e speravo che ancora mi pensasse e mi sentisse, che avesse quel desiderio che io sentivo di rivederla e di sdraiarmi accanto a lei su quel campo di grano, disteso lungo il fianco della collina e speravo che per questo sarebbe tornata. Venni a sapere, qualche anno dopo, che si era fidanzata e qualche tempo dopo ancora giunse anche la notizia che si era sposata. Quel giorno passato nel campo di grano è il mio rammarico, che cambierei con il rimorso di aver fatto quel qualcosa che poteva essere sconfitta, ma che sarebbe stato vivere. Per anni conservai vivo nel cuore l'odore del suo respiro mescolato a quello del grano. Per questo, anno dopo anno, in quello stesso giorno, le ho spedito un pane che facevo con le mie mani e con la farina di quel grano, nella speranza che quell'aroma le portasse il ricordo di quel giorno e che lei tornasse. Fu quando seppi che era morta che smisi di fare il fornaio e da allora passo le giornate davanti a questo lago. Quel giorno, tu l'avevi portata con te, ma non te ne ricorderai, perchè non cogli l'essenza della vita, padrona del nulla. Niente fino ad oggi hai mai saputo di questa storia, troppo affannata a togliere la vita per poterla vedere e scoprire".
- la morte l'osservò, persa in un pensiero "quindi, fino a che era in vita vivevi nella speranza, quella che ti ho rubato e che è morta, quando ho chiesto a quella donna di seguirmi" disse la morte "e poi ora che dovrai seguirmi pure tu, di certo, neppure avrai più la speranza che il passato ritorni con la veste di un'altra donna.
- "quella speranza non muore mai, nessuno può sapere il domani e se esso sarà quel giorno in cui mi troverò sdraiato con lei, mano nella mano, immersi nel grano".
- "vecchio! ho molto da fare, altri mi attendono. Per oggi ho deciso di lasciarti ancora qui davanti al tuo lago, immerso nei tuoi ricordi" disse la morte "ma tornerò". Un attimo dopo si voltò, s'incamminò, per poi fermarsi "Esiste ancora quel campo di grano?" domandò.
- "Sì" rispose l'uomo "se vuoi, un giorno ti ci porterò".
Non ottene risposta, la morte se n'era già andata. Era ormai sera, una giornata intera era passata. L'uomo si alzò per incamminarsi verso il paese. Arrivò nella piazza, quando ormai per i suoi occhi stanchi e vecchi non era più sufficiente la poca luce rimasta. Ma vide lo stesso il suo vecchio amico di infanzia, seduto sulle scale della chiesa.
Un cenno di saluto e gli si avvicinò.
- "anche oggi hai passato l'intera giornata di fronte al lago?" chiese l'amico
- "sì, a studiare i pesci, gli insetti e l'apparente immobilità dell'acqua" rispose l'uomo
- "e scommetto che pure oggi, hai incontrata la tua antica compagna, con cui dialoghi da tempo".
- "mi conosci bene" disse l'uomo "ma oggi è stato un giorno diverso. La mia compagna voleva che la seguissi ed ho avuto la sensazione che ormai avesse deciso di spingermi in quelle acque e di lasciarmi affondare; ma poi l'ho convinta a lasciarmi seduto di fronte al lago. Ho piantato in lei il seme del desiderio, della curiosità, il suo innato interesse per la vita, che toglie, ma che non conosce"
- "gli hai raccontato quella vecchia storia della ragazza e del campo di grano. La stessa che hai raccontato a quel signore che ti comprò poi la panetteria. Sei riuscito a farcela credere, hai ingannato pure la morte con quella falsa storia!" disse l'amico ridendo.
- "già" rispose l'uomo, ma come al tempo in cui vendette la panetteria, una lacrima scivolò lungo il suo viso; come al tempo, dal cuore in cui era affogato, riemerse un ricordo, un rimpianto.

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