lunedì 27 luglio 2009

il destino d'essere fortunati


Premetto che non sono un "patito" di gare automobilistiche, nè di quelle motociclistiche.
Anzi, mi è capito talvolta (credo sia esperienza comune) di "godere" di queste gare come metodo naturale per vincere l'insonnia e per conciliare la pennica pomeridiana.
Mi piace, però, lo sport, specie perché lo ritengo, sin da quando l'ho praticato agonisticamente ed oggi quale spettatore, capace di dare lezioni di vita, ma ancor più in quanto "metafora" della vita.
Come nella vita, lo sport ti procura gioia per la vittoria ma delusione, tristezza e senso di sconforto nel momento della sconfitta.
Come nella vita, se è vero che i risultati si ottengono con l'impegno, è anche vero che ci sono atleti e persone nella vita, che non ottengono vittorie e gioie nonostante l'impegno.
Il motivo è che nello sport, come nella vita, vi sono fattori non del tutto governabili e per dirla in una parola, anzi due, un ruolo importante lo gioca la fortuna o destino che dir si voglia.
Si potrebbe parlare per ore del concetto di fortuna ed ancor più di quello di destino.
nell'antica Grecia, il destino era ritenuto così potente, che persino gli Dei vi sottostavano. Non a caso, Fato è la traduzione latina del concetto degli Stoici, i quali avevano ipostatizzato il concetto ponendo un Logos - Ragione - regolante di necessità l'essere dell'universo.
Il concetto di Destino in Spinoza si esprime come necessità, un determinismo assoluto di ogni accadere e di ogni esistere.
Se si vuole essere precisi si potrebbe anche meglio distinguere il concetto di fato da quello di destino. Il primo, in uso anche moderno, è concepito come un potere od un agente che predetermina e ordina il corso degli avvenimenti, per cui gli eventi sono ordinati o "predecisi", messi in opera da una forza od intelligenza che ci trascende. Il concetto di destino contempla una partecipazione di chi "subisce" le conseguenze, in quanto, partecipa attivamente alla conseguenza di un progetto e la partecipazione accade in tutta coscienza. Il destino ha la stessa radice di "destinazione", ma senza una voluta partecipazione del soggetto non c'è destino e quest'ultimo non può essere costretto ad agire su qualcuno.

Ma in relazione a quanto voglio raccontare con questo post, mi basta far riferimento al fatto che il destino era personificato dagli antichi greci nella figura di Nemesis, il quale rappresentava la cieca distribuzione della fortuna, ovvero senza valutare le opere ed i meriti di coloro, a cui dispensava la propria parte di ventura/sventura, ma solo in base ai suoi personali desideri (meglio capricci).
Questo post, circa il ruolo del destino o meglio del fato e della (s)fortuna che dispensa, è maturato quando lo Specchio mi ha mostrato le immagini del pilota Ferrarista Massa, colpito alla testa da un componente meccanico durante le prove del GP di Ungheria. E' bastato che lo specchio, subito dopo, mi mostrasse le immagini della vittoria/sconfitta sempre di Massa nel GP del Brasile dello scorso Campionato per indurmi una riflessione.
Per chi non ha memoria della gara del Brasile allego due link:

http://www.youtube.com/watch?v=zAsMDaoHif8

http://www.youtube.com/watch?v=F4Kc-5WPPMg&feature=PlayList&p=79BF31912F307829&playnext=1&playnext_from=PL&index=41

Ho sempre "avvertito" dentro me questo pensiero, ovvero che nella vita si può essere "self made man" ma i meriti della propria riuscita non sono tutti i nostri. E' vero, nella vita si può essere sprovveduti e dilapidare "qualsiasi fortuna" o non sfruttarla al meglio, però credo che conseguire un successo sia un "mistero", che non permette di generare una ricetta, una formula che ne permetta la ripetizione in qualsiasi circostanza e che sia valida per ogni persona.
Non ho mai voluto esprimere apertamente questo pensiero; al massimo ne ho parlato a denti stretti, a motivo di una sorta di pudore. Mi sembrava, che parlandone, potessi dare l'impressione all'interlocutore di cercare un alibi per qualche mio "piccolo" insuccesso, o per non aver ottenuto qualche "grande" desiderio.
La forza di sostenere "ad alta voce" questa riflessione, oggi me la da, invece, proprio la vicenda Massa.
Come dicevo i fatti dello sport, sono connotati spesso dal potere di rappresentazione simbolica dei fatti della vita, arrivando a costituirne una metafora.
A volte, la vita ti regala batoste e sconfitte, che non ti permettono di rialzarti con facilità, mentre il bello dello sport è che di fronte alla sconfitta ti viene consentito di rialzarti e di ottenere un'occasione di riscatto nella gara successiva.
Nel caso di Massa neppure questo è vero, e pare essere più un fatto di vita che di sport.
Chi ha buona memoria (gli altri vedano il filmato nel primo link), l'ultima gara del campionato mondiale dello scorso anno si correva in Brasile. Se Massa avesse vinto la gara, sperando in un certo piazzamento di Hamilton (dal 6° posto in poi), sarebbe stato campione del mondo, conquistando il titolo nella sua terra, il Brasile, che aspettava un simile evento dopo la morte di Senna. A due giri dalla fine comincia a piovere e Massa è primo, mentre Hamiltom perde posizioni e va oltre il sesto posto. Poi Massa taglia il traguardo, è primo! tutti esultano, ma nello stesso momento, a mezzo giro dalla fine, Glock che era quinto davanti ad Hamilton ha un rallentamento, ed Hamilton lo supera, tagliando il traguardo quinto e vincendo il mondiale, mentre ai box già si esultava per Massa.
Commovente poi la scena del dopo gara con Massa, che rivolto al pubblico, batte il pugno sul cuore, come a dire "vi amo, grazie del sostegno, avrei vinto per voi, ma forza vincerò il prossimo anno" (vedere il filmato del secondo link). Insomma, un paradosso: un vincitore (di gara) sul gradino più alto del podio, con la faccia dello sconfitto.
Già! ... il prossimo anno, la prossima occasione, che la vita non ti da, ma lo sport sì.
E invece lo sport questa volta riesce a rappresentare fedelmente la vita. Arriviamo ai fatti recenti di sabato: Massa gira nelle prove cronometrate del GP di Ungheria. Dall'auto che lo precede si stacca una molla (che pesa un chilo) e piomba sul suo casco (meno male il casco), il tutto mentre l'auto viaggia a più di 200 Km/h. Il pilota perde i sensi e l'auto finisce fuori strada sulle barriere. Il tutto ricorda l'incidente di Senna (anche qui il destino supera qualsiasi fantasia di scrittore).
Risultato: Massa operato è fuori pericolo, non ci sono lesioni al cervello, ma pare che il nervo ottico abbia subito danni. Non si sa se Massa potrà tornare a correre.
Credo che meglio di ogni altra cosa i fatti facciano capire cosa intendo.
Non sono un tipo che si arrende facilmente nella vita. Batoste anche recenti ne ho avute ed ancora subisco qualche conseguenza, ma ho sempre speranza, che pure la vita possa perdere ed il destino debba sottomettersi, così come più spesso accade nello sport.
Massa (vincente sconfitto) non mi deludere! Ti aspetto, quando tornerai a correre. Io ci sarò, davanti alla TV. Prometto di saltare la pennica per vedere che, per una volta almeno, ho avuto ragione.





2 commenti:

  1. Anche a me piace pensare che ognuno "faber suae quaemque fortunae esse". Negare il libero arbitrio e la capacità di incidere sulla propria storia e sulla propria vita mi sembrerebbe ridurre il ruolo che a noi, esseri pensanti, è stato attribuito. E' vero, a volte sembra sia la realtà a dominare noi, ma chi dice che anche la sofferenza che spesso ci sovrasta - e che noi crediamo sia la conseguenza del cieco fato che tutto governa - non sia finalizzata ad insegnarci qualche cosa????

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  2. sempre che non ci sia altrettanta sofferenza nel dover apprendere la lezione !!! Comunque visto che si vive una sola volta (almeno così dicono) è giusto e corretto vivere elottare sino in fondo per dominare anche la sorte avversa.

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